Italia 2.0: non è un paese per donne

Non che l’Italia sia mai stato un paese per donne, intendiamoci. In Italia le donne sono amate, oggetto di canzoni e poemi, ma all’atto pratico sono e rimangono da secoli la spina dorsale di una società e di un’economia barcollanti, compensando un welfare inesistente e una cultura mediterraneamente maschilista, senza che niente di tutto ciò venga compreso, riconosciuto o cambiato. Dalle donne stesse, aggiungerei.
Ma oggi non vi voglio parlare di mancanza di servizi o di diritti, di quote rosa o di disparità di salario medio.

Oggi voglio condividere alcune riflessioni frutto del ragionamento di quanto visto e sentito durante l’evento d’inaugurazione della prima sede romana di Talent Garden.
Evento molto grazioso e piacevole, interessanti relazioni.
Si parla di professioni del futuro, si parla di cambiamento.
Alessandro Rimassa racconta come il cambiamento sia l’unica costante, come la formazione debba essere continua, come bisogna prepararsi a cambiare lavoro. Racconta la formazione di Talent Garden a questo scopo. 12 settimane full immersion. Fantastico.
Partecipazione agli hackathon, che sono una specie di gare in cui non si dorme per 36 o 48 ore per sviluppare progetti, per lo più informatici.

“Mamma mia che forte!” penso. “Quasi, quasi mi ci iscrivo anche io.”

Poco dopo, vengono intervistati tre giovani “startupper” che ce l’hanno fatta o quasi: hanno sviluppato in camerette (gli startupper italiani nascono già medio borghesi, non lavorano nei garage) applicazioni che, in pratica, dovevano servire per avere i soldi per uscire perché “la paghetta di mamma non bastava”.

Troppo forte,” penso “anche io ai miei tempi sono stata una startupper, peccato che non ci fossero gli incubatori e che mi sono finanziata vendendo il pianoforte digitale (anche perché al suo posto dovevo metterci il computer) e con 3 milioni di vecchie lire dei miei per mettere su il primo server. D’altronde pure Amazon era appena nata a quei tempi.

Nell’ultimo intervento, si schierano, consentitemi, i dinosauri: una bella sfilata di amministratori delegati tutti orgogliosi di raccontare quanti bigliettoni le loro aziende stanno investendo per dare “benzina” a questa economia digitale.

Li state spendendo perché sapete che tra poco sarà solo questa economia digitale a tenervi a galla” penso io, ma ero ospite e non potevo esprimermi liberamente. Dei credo 9 senior, una sola donna – responsabile marketing e non A.D. – a rappresentare la categoria femminile.

Allora,
Alessandra, dove vuoi arrivare?
Ora ve lo spiego.

La rivoluzione digitale, che io tanto amo, è una rivoluzione totalizzante.
Esisti se sei sempre presente, always connected, virtualmente e fisicamente. Lo smartworking che io pratico, senza chiamarlo per nome, da almeno 20 anni non è tutto rose e fiori. E’ vero che è smart, è vero che sei libero di lavorare quando vuoi, come vuoi e dove vuoi. Ma questo significa soprattutto che lavori lavori ovunque, in qualunque momento, in qualunque luogo.
Tutto questo, che potrebbe anche avere aspetti positivi se gestito in modo pragmaticamente intelligente, diventa devastante per le donne – in particolare per quelle che non sono single e magari si permettono pure di fare dei figli – in cui l’evoluzione socio-domestica e i servizi di supporto alla famiglia sono tornati (forse) ai livelli degli anni ’50, ma senza nonne.
Se in famiglia è lui lo startupper, ci sarà una mogliettina accudente e rompiscatole che si lamenterà delle notti passate davanti al computer ma lo supporterà con ogni genere di conforto.

Ma se in famiglia la startupper è lei? Se c’è un ragazzino che scorazza per casa? Quanto sarà disposto il lui delle situazione a supportare? E a cosa dovrà rinunciare lei per perseguire il suo sogno?

Leggevo scandalizzata qualche giorno fa di una giovane madre 2.0, titolare di blog rigorosamente per mamme, che le sue letture dopo la nascita del pupo sono passate da Vanity Fair a Il mio pediatra e rabbrividivo.

Oggi faccio questi pensieri e sono terrorizzata.

La nostra società deve cambiare radicalmente se non vogliamo ritrovarci in un modo futuristico e digitalizzato in cui le donne tornano a essere domestiche e addomesticate.

E per fare questo servono un cambiamento radicale di mentalità (non solo maschile, sono fermamente convinta che il problema nasca dalle donne, prima ancora che dagli uomini) e una vera politica di welfare. Non servono i bonus pannolini, non serve lo stipendio per le casalinghe. In un mondo senza spazio e senza tempo servono servizi senza spazio e senza tempo: asili, scuole, servizi di assistenza domestica per gli anziani. Ma anche scuola bus, organizzazioni sportive integrate nei programmi scolastici. Serve welfare.
Il mondo che ci si sta prospettando in questo meraviglioso ed eccitante brodo primordiale di cambiamento continuo rischia di diventare un mondo solo maschile (e per di più pure nerd, che potrebbe essere peggio).

Marco Montemagno in uno dei suoi video diceva che l’app per il monitoraggio biometrico che Apple ha sviluppato per iWatch nella prima versione non comprendeva i cicli mestruali. Sviluppatori maschi, probabilmente anche sbarbatelli, non l’avevano neanche considerato. Sono dovuti correre ai ripari nelle versioni successive. Fa sorridere… ed è Apple.

Servono famiglie 2.0, società 2.0, servizi 2.0 per far sì che questa evoluzione digitali diventi davvero un’evoluzione e sia per tutti. Che il problema si trasformi nell’opportunità di farci diventare migliori.
Mah.