Perchè condividere bufale è un delitto contro l’umanità

African buffalo portrait; Syncerus caffer; South Africa

Non ho esagerato, penso proprio che condividere bufale sia un delitto contro la società, le persone, la felicità e il benessere.

Una bufala è una notizia fasulla, normalmente impacchettata a dovere con immagini shoccanti e testo ad effetto che viene resa virale facendola girare sui social. La maggior parte di queste bufale riguardano:

  • finti fatti di cronaca che alimentano forme di razzismo e odio sociale
  • finte dichiarazioni di politici, create ad hoc per darne un’immagine negativa
  • fine scoperte scientifiche che screditano la medicina e le cure “ufficiali”.

Spesso e volentieri le persone condividono senza verificare sull’onda emotiva queste notizie fasulle (talvolta costruite in modo talmente poco verosimile da far chiedere veramente come si possa credere a certe cose) alimentando pensieri negativi, odio sociale, razzismo, desolazione.

Ancora più grave quando le persone condividono (pensando di mettersi la coscienza a posto) con una frase tipo “se è vero è allucinante” oppure “spero che non sia vero”.

Diceva lo Zio Ben di SpiderMan “da un grande potere derivano grandi responsabilità”: è indubbio che la rete e, in particolare, i social media hanno dato a tutte le persone il grande potere di diventare editori: ognuno può esprimere i propri pensieri e potenzialmente renderli pubblici a una grande quantità di persone. Io sono una grande fan di questo meccanismo che sfrutto e in cui vivo ogni giorno. Ma penso che la mia competenza specifica, ad esempio, debba essere utilizzata anche per migliorare questo mondo e, così, ogni volta che vedo una di queste notizie inverosimili, fomentatrici di odio, mi prendo la briga di verificare, di riprendere, di evidenziare.

Da editori, tutti ci dobbiamo rendere conto che le persone nella maggior parte dei casi non leggono e non verificano. Questa mattina un mio contatto su Facebook ha condiviso questo post

vecchietto

Non soltanto si tratta di una notizia fasulla, ma l’innocuo vecchietto è Mario Vanni, il compagno di merende di Pacciani (il mostro di Firenze, per capirci). Non esattamente un vecchietto indifeso.

Qual è l’effetto di questa finta notizia diffusa in modo virale nella rete?

  1. alimentare l’idea che in Italia non vi è giustizia e che i giudizi agevolano gli immigrati rispetto ai poveri italiani “vessati” che si difendono
  2. alimentare l’idea che gli immigrati siano la causa del malessere del nostro paese, siano tutti violenti e rubino le pensioni da fame ai vecchietti, in particolare i rumeni
  3. alimentare l’idea che difendersi da soli sia giusto ma che in realtà è un’azione che viene punita.

Al volo, tre messaggi di odio e di violenza che assorbono l’energia delle persone rendendo le loro vite peggiori, che condizionano il pensiero dei più semplici e che distolgono l’attenzione dalla vita e dai reali problemi. Basta leggere i commenti che emergono da questi post per capire quanta rabbia e quanto odio essi suscitano. E la rabbia e l’odio non fanno bene, mai.

Se anche condivido il messaggio dicendo “spero che non sia vero”  l’effetto è lo stesso. Uno dei principi di base delle scienze cognitive è che la “mente non conosce negazione“. Se io ti dico “non immaginare un elefante rosa davanti a te” tu non potrai non immaginare un elefante rosa. Quella frase che ti fa sentire a posto riguardo al fatto che hai condiviso una cosa gravissima senza verificarla in realtà avrà lo stesso effetto: andrà a depositarsi nella mente di migliaia di persone, trasmettendo, like dopo like, visualizzazione dopo visualizzazione, idee non solo sbagliate ma che alimentano pensieri negativi e odio sociale.

La responsabilità del mezzo che stiamo utilizzando richiede che se non abbiamo la possibilità di verificare una notizia, almeno superficialmente, è meglio non condividerla. Soprattutto se si tratta di una cosa di questo genere.

Per verificare basta ricercare su Google un pezzo del post: ho impiegato esattamente 30 secondi a digitare su Google “Lui è mario. Oggi in tribunale” e trovare la spiegazione della bufala.

In generale, se una notizia potenzialmente molto grave non è riportata da fonti autorevoli è molto probabilmente una bufala. Non dimentichiamo che vi sono siti che sfruttano questi meccanismi per portare traffico sulle proprie pagine, sfruttando queste leve emotive e guadagnare in pubblicità. Questi siti divulgano spessissimo notizie non verificate e costruite ad hoc.

Un’altra categoria di condivisioni negative sono i link a notizie vere ma con titoli manipolati ad hoc per far sembrare i contenuti diversi: anche in questo caso si gioca sul fatto che le persone non vanno a verificare o leggere l’articolo e “si indignano” sulla base di un titolo – di fatto – fasullo. Se hai il tempo di condividere e commentare hai il tempo anche di leggere tutto. Se no lascia stare, non è obbligatorio.

E non accetto neanche la scusa del “sono proprio pratico” o “non so come fare”. Se non so guidare l’auto non la guido, perchè potrei far del male a me stessa o agli altri. Nello stesso modo se non so usare un mezzo di comunicazione così potente e che può condizionare le persone  o la società in modo tanto profondo, è meglio che lascio perdere o che mi metto a imparare.

L’uso consapevole delle tecnologie, soprattutto delle tecnologie dell’informazione, può rendere questo mondo migliore. Il contrario rende la nostra società sempre più brutta e invivibile.

Articolo originariamente pubblicato su LinkedIn