Si fa presto a dire fotografia

Sono circa due anni che mi sono avvicinata al mondo della fotografia professionale in modo un po’ più intenso, grazie alla mia collaborazione con Fiof, con alcuni importanti studi italiani fino ad approdare a una vera e propria partnership con Claudio Bru (www.eblu.it).

Per seguire i progetti editoriali e web che ho sviluppato negli anni di attività della mia agenzia ho sempre usato la fotografia: ma per lo più acquisendo immagini di stock o commissionando servizi di prodotto per la realizzazione di cataloghi. Le esigenze di comunicazione visiva in agenzia sono state sempre compensate dalle idee grafiche, da questi strumenti e dai contenuti.

Con l’evolversi del panorama della comunicazione e, in particolar modo, approfondendo l’attività di personal branding coach, mi sono resa conto che queste soluzioni non mi soddisfacevano in pieno. Si dice che “quando serve il maestro appare” e così, più o meno per caso, mi sono trovata a immergermi nel mondo della fotografia. Ovviamente l’ho fatto dal mio punto di vista, quello tecnico della comunicazione e del marketing, con un fermo intento a non cedere alla tentazione di diventare anche io una delle migliaia di fotografi della domenica di cui la rete è popolata. Fin dai primi contatti più seri, ho cercato di comprendere quali potessero essere i meccanismi di coinvolgimento e ricordo, il linguaggio narrativo e, soprattutto, le modalità più dirette per poter valorizzare i messaggi che volevo comunicare per me e i miei clienti tramite l’abbinamento tra testo e immagine.

Sono partita osservando: molte, moltissime fotografie.
Un po’ ovunque.
I maestri. I dilettanti. I selfie. Le foto di famiglia. I giornali.

Poi mi sono messa ad ascoltare: ascoltare quello che dicevano i fotografi o i sedicenti tali, gli appassionati, i digitali e gli analogici.

Alla fine mi sono messa al lavoro. Per lo più dialogando e affiancando chi della fotografia ne ha fatto una professione davvero, chi ce l’ha nel DNA.

Solo dopo questo percorso, ho iniziato a sperimentare.

La mia sperimentazione è andata in varie direzioni. 
Ho iniziato a capire il tipo di engagement (ad esempio su Facebook) avevano le mie composizioni di foto + testi, fatte di fotografie professionali e citazioni d’autore. Volevo comprendere come questa forma di base di multimedialità permettesse di comporre un discorso più completo: il testo non è didascalia dell’immagine e l’immagine non è illustrazione del testo. Ma sono due elementi di un unico discorso che si completano e ne modificano reciprocamente il significato e, soprattutto, il linguaggio emotivo. L’esperimento ha funzionato molto bene. Se si vogliono trasmettere emozioni e si vuole il coinvolgimento delle persone questo tipo di codice è decisamente efficace.

Poi ho provato a usare la fotografia come evento.
Abbiamo organizzato un evento in un centro ottico molto importante di Roma in cui abbiamo creato un set con un divano barocco, dove invitavamo i passanti a farsi fotografare. L’idea era di un evento in cui la fotografia non fosse solo pretesto, come spesso accade in queste iniziative “social”, e il fotografo fosse un artista vero. Sono venute fuori da questa cosa immagini molto interessanti e belle, pur senza l’ausilio di truccatori e usando persone prese dalla strada (letteralmente) con il minimo indispensabile di post-produzione. Nonostante questo ho capito come talvolta il gioco della fotografia, l’esperienza della rappresentazione di sé, possa essere più rilevante di ciò che si produce, come una sorta di terapia, soprattutto se dietro l’obiettivo c’è un professionista della comunicazione non soltanto dell’immagine.

Il mio terzo test è stato quello più direttamente collegato al concetto di personal branding. Vi ho già raccontato in un altro post (Quel giorno che ho fatto la modella) dell’esperienza del mio servizio fotografico, realizzato anche in questo caso con Claudio Bru per il sito e l’immagine del mio progetto “The Personal Branding Coach“. Qui il risultato è stato strepitoso. Pur utilizzando già immagini abbastanza curate per rappresentarmi nei miei profili sociali, le foto del servizio hanno completamente modificato l’impatto della mia immagine sul mio network. Si sono moltiplicati i contatti, si è moltiplicato il coinvolgimento e, soprattutto, sono riuscita ad accedere a interazioni con aziende e persone a livello nazionale e internazionale di grande importanza. Cosa ha fatto la differenza?
Le foto del servizio non sono solo professionali, ma rappresentano un vero progetto d’immagine in cui abbiamo curato ogni particolare per esprimere i concetti che volevamo far passare (professionalità, affidabilità, gradevolezza, forza), questo ha decisamente fatto la differenza. Il risultato è stato che a parità di contenuti la mia immagine professionale attraverso la rete è diventata maggiormente memorabile e riconoscibile, coerente con il resto delle mie attività di comunicazione.

L’utilizzo di questo tipo di visual per la comunicazione del mio nuovo ciclo di eventi ha portato a decuplicare i contatti.

A questo punto mi sono sentita pronta per elaborare un concetto, un’idea di come oggi la fotografia (e il fotografo) si debba integrare nell’attività di costruzione del progetto di marketing digitale (e non) sia che si tratti di valorizzare il brand personale sia che si tratti di coinvolgere e costruire l’immagine di un’azienda e di un marchio.

La fotografia si deve integrare al discorso, non sopraffarlo ne’ esserne ancella, deve essere considerata una parola della conversazione, insieme alle parole propriamente dette.

La fotografia è un percorso di consapevolezza e di conoscenza di se stessi, e il fotografo, se è un vero professionista, deve sapere esprimere l’interiorità e l’anima di chi rappresenta, ancor prima della bellezza, ricercando lo straordinario nell’ordinario.

La fotografia deve essere evoluzione dell’immagine coordinata: deve rincorrersi nella rete, attraverso i vari canali e deve essere in grado, sempre in integrazione con concetti, valori e contenuti, di creare un volto concreto, affidabile e noto a chi rappresenta.

E da ultimo la fotografia deve portarci a parte di una storia, che ancora prima di essere un racconto deve essere una storia di emozioni.

 

Tutte le foto sono di Claudio Bru