Il problema della DAD non è la DAD.

Ricordo molto bene l’inizio della pandemia, la nostra zona è entrata in #lockdown praticamente la settimana dopo Codogno e ci siamo ritrovati a gestire la scuola a distanza, la cosiddetta DAD, senza essere assolutamente preparati.
Facendo formazione ed eventi on line da quasi 10 anni, mi sono messa a disposizione delle maestre di mio figlio (che allora faceva quinta elementare) perché potessero fare lezione a distanza, offrendo studio e tecnologia per iniziare da subito a fare delle videolezioni (in diretta o registrate) da inviare alla classe.
Come è andata? Rifiuto totale, adducendo scuse varie con il risultato che gli ultimi quattro mesi abbondanti di quinta elementare di mio figlio si sono risolti in una serie di compiti assegnati via Whatsapp per iscritto, qualche link a video preesistenti su YouTube, 2 lezioni vocali mandate via Whatsapp dalla maestra principale in cui (ho dovuto verificare perché non ci volevo credere) l’insegnante leggeva (proprio leggeva, parola per parola) alcune pagine del libro di testo e – solo nell’ultima parte dell’anno – una giornata a settimana di videolezioni.
Se Francesco ha imparato qualcosa è stato perché la nonna ed io abbiamo avuto modo di sopperire alla mancanza didattica e perché durante l’estate ho ritenuto di pagare un’insegnante privata per fargli fare un po’ di ripasso.
In un paese civile, data la situazione, ci si sarebbe aspettato che si utilizzassero i mesi estivi per organizzare
  • una piattaforma unica a livello nazionale per ogni ordine e grado, con procedure definite e studiate centralmente da persone specializzate, da fornire come soluzioni chiavi in mano alle strutture sul territorio
  • che si comprendesse quali sono i punti chiave della progettazione di un sistema di formazione a distanza, che va approcciato in maniera differenza se si tratta della scuola primaria, secondaria e superiore
  • che si adottassero formule miste (lezioni a distanza, verifiche ed esami in presenza, per dirne una) potevano essere utili sia per ridurre i rischi di contagio sia per compensare le problematiche didattiche
  • che il progetto di DAD prendesse in considerazione le esigenze didattiche, ma anche quelle di interazione tra scuola e famiglia, quelle di socializzazione dei ragazzi, quelle di rapporto tra le famiglie, quelle di rapporto con il territorio locale
  • che gli insegnanti venissero formati, non soltanto all’utilizzo della piattaforma, ma soprattutto alla gestione della didattica a distanza, che richiede un’ergonomia e delle modalità di gestione della comunicazione differenti da quelle ordinarie
  • che la pianificazione dei tempi e dei luoghi della didattica fosse organizzata per gestire il doppio canale (fisico e digitale) cosa indispensabile in tempo di pandemia ma estremamente utile anche in tempi “normali”, per alleggerire i trasporti, supportare gli studenti “fragili”, compensare difficoltà sanitarie, organizzative, potenziale i programmi, giusto per citare le prime cose che mi vengono in mente parlando di integrazione di didattica a distanza e didattica in presenza
  • non da ultimo, che si prendessero in considerazione le nuove dinamiche familiari, la strutturazione di un servizio di help desk a supporto delle famiglie che non possiedono al proprio interno competenze tecniche per supportare i ragazzi (altra cosa che sarebbe stata molto più efficiente da gestire con una procedura e una piattaforma centralizzata a livello nazionale) che si facesse un accordo con qualcuno per offrire (come si fa con i libri di testo) gli strumenti informatici necessari per l’utilizzo della DAD in modo efficace, almeno in prestito d’uso.
RIpartiti a settembre, invece, mi sono ritrovata con mio figlio in prima media, in una scuola molto meglio organizzata di quella precedente dove – comunque – la piattaforma utilizzata è Microsoft Teams, dove i compiti si perdono tra il registro elettronico e Teams, in cui entrati in Didattica a Distanza le lezioni sono passate da 50 minuti a 35 (il Ministero lo consente) di cui spesso almeno 7-8 vengono utilizzati per fare l’appello (l’appello! a voce, su una piattaforma informatica!), dove le lezioni non vengono registrate (non si capisce per quale ragione) e quindi non si da la possibilità di compensare eventuali problemi di didattica o di connessione con le registrazioni, dove i compiti vengono spesso fatti fare sui quaderni e inviati fotografando le pagine e così via.
Trovandomi per alcune felici novità della mia vita personale a condividere questa esperienza anche con i figli del mio compagno, ho potuto riscontrare che in altre scuole (una quinta elementare e una seconda media, nello stesso comune, comprovando che ogni singola scuola e in alcuni casi ogni singola sezione gestisce le cose in modo differente) la situazione non è affatto migliore:
  • tre scuole, tre piattaforme differenti, orari gestiti con tre logiche differenti
  • grande confusione di genitori e studenti per gestire il tutto, compiti che non si trovano, verifiche che non si riescono a fare, orari che non si incastrano tra loro
  • totale inefficienza nel modo in cui anche le piattaforme esistenti sono utilizzate con una frustrazione spaventosa per i ragazzi, per le famiglie e presumo anche per gli insegnanti.
Continuo a leggere articoli su articoli che dicono quanto i nostri figli saranno danneggiati per la vita da questo periodo di DAD: danneggiati per la mancanza di contatto sociale, danneggiati perché l’insegnamento in DAD non può essere equivalente alla formazione in presenza, danneggiati per la reclusione, danneggiati per la sovraesposizione ai dispositivi digitali, e mi rendo conto che – come sempre accade quando ci si trova di fronte a una rivoluzione mediatica o tecnologica – il problema viene imputato al mezzo e soltanto ad esso e non alla modalità con cui il mezzo viene utilizzato.
Sarò una voce fuori dal coro, sarò sicuramente fortunata perché vivo e lavoro in un contesto che mi permette di affrontare queste problematiche con maggior facilità rispetto a molti altri, ma penso che sia ora di dire le cose da un altro punto di vista, che provo a schematizzare qui di seguito:
  1. Il mezzo non è mai responsabile dell’esito della comunicazione: un mezzo è un mezzo.
    E in questo momento la didattica a distanza è il mezzo che ci consente di far fare scuola e non lasciare da soli i nostri ragazzi arginando il pericolo sanitario. Non mi pare affatto poco.
  2. La didattica a distanza e una gestione in home schooling dei cicli della scuola primaria sono tendenze che già erano in atto e che sono perfettamente adatte all’evoluzione economica, culturale e sociale del nostro tempo. Sono cose che già si stavano diffondendo anche senza pandemia, che ha accelerato dei processi in questo come in molti altri campi.
  3. La socializzazione tramite piattaforme digitali è qualcosa di estremamente presente e già familiare ai nostri ragazzi: attraverso le piattaforme di gioco, le chat e i social media, i nostri figli sanno meglio di noi come non sentirsi soli e interagire anche a distanza (nulla di questa esperienza quotidiana è stato preso in considerazione quando si è ragionato su come progettare questa Didattica a Distanza). Mio figlio dopo quasi 3 anni dal nostro rientro ad Asti da Roma ancora sente quotidianamente i suoi più cari amici romani, pur non potendoli vedere (causa pandemia) da maggio del 2019.
  4. Spesso una relazione sociale on line, senza mascherine, blocchi al contatto etc, è molto meno traumatica che una cattiva relazione in presenza, come quella a cui sono stati costretti nei momenti di scuola in presenza con le procedure di sicurezza anticovid.
  5. La scarsa qualità della didattica a distanza non è causata dal fatto di essere fatta a distanza, ma dal fatto di essere una didattica di scarsa qualità (peraltro avere modo di vedere come insegnano alcuni degli insegnanti – proprio attraverso le lezioni on line – mi ha illuminato, purtroppo non positivamente, sul come trascorrono a scuola il loro tempo i nostri ragazzi in molti casi).
Tutto questo, e molto altro, mi porta una grande, grandissima rabbia ed indignazione come cittadina, come madre, come professionista e come formatrice. Perchè in tutto questo si evince che ci troviamo in questa situazione non per mancanza di fondi o per mancanza di possibilità tecnologiche, ma per mancanza di competenza, pragmatismo e di senso di responsabilità: quella che dovrebbe avere la classe politica nel prendersi il rischio di dare delle direzioni precise al fine di fare andare tutto meglio possibile.
Conoscendo approfonditamente ciò di cui sto parlando posso dire – senza tema di smentita – che tutto il sistema poteva essere gestito con eguali o inferiori risorse economiche in modo decisamente migliore di quello in cui ci troviamo attualmente, applicando qualche nozione di base di formazione a distanza, di psicologia della comunicazione e di pedagogia. Ecco come:
  1. Scegliere un’unica piattaforma da utilizzare a livello nazionale.
    Questo consente di applicare delle economie di scala sia sul costo del software, sia sulla formazione del personale, sia sulle infrastrutture informatiche necessarie. Il problema da risolvere è unico per tutte le scuole d’Italia è assolutamente inefficiente fare in modo che ogni scuola studi (senza mezzi e competenze) il modo per risolverselo.
  2. Strutturare la piattaforma con alcuni criteri fondamentali di base.
    1. i ragazzi entrino in una classe virtuale, ogni giorno tramite lo stesso link e con gli stessi orari e vi rimangano per tutta la durata delle lezioni, in modo da non dover saltare da un link all’altro, e che siano gli insegnanti (come avviene nella scuola in presenza) ad alternarsi all’interno delle aule digitali
    2. Vengano suddivise le “tipologie” di tempo: lezione frontale, interazione con la classe, domande e risposte, verifiche. Per ognuna si deve utilizzare una differente ergonomia della comunicazione:
      • nelle lezioni frontali, si deve utilizzare un’architettura tipo webinar, con insegnante e lavagna a tutto schermo e senza vedere tutti i compagni (cosa che peraltro disturba e distrae)
      • L’interazione può essere gestita come una riunione virtuale, in cui l’insegnante è il moderatore e tutti si vedono tra di loro
      • Le verifiche possono essere gestite tramite sistemi di test on line, quindi senza la necessità di “vedere” gli studenti, con la possibilità per gli studenti di fare domande all’insegnante tramite chat. Per evitare che gli studenti “copino” o comunichino basterà differenziare le domande. Per evitare che consultino i testi basterà fare domande con un contenuto di ragionamento più elevato o fare più domande chiuse nell’unità di tempo.
    3. L’effettiva presenza e l’attenzione dei ragazzi deve essere misurata con gli strumenti informatici e non attraverso modalità arcaiche e inefficaci come appelli, o controllo continuo tramite webcam. I sistemi prevedono la possibilità di verificare attenzione ed effettiva attività, basta saperli usare.
    4. Molte delle scelte sbagliate nelle modalità con cui vengono erogate le lezioni, sono dovute all’ansia di controllo della presenza e dell’attenzione dei ragazzi. Ansia di controllo che deriva dall’insicurezza e dalla cattiva gestione del mezzo, come in un circolo vizioso da cui non si esce. Questo porta a una gestione punitiva di tutti i processi, con voti tremendi assegnati in caso di ritardo di consegna di un compito (magari dovuto al fatto che i ragazzi si perdono tra i vari strumenti e non riescono a tenere presente ogni cosa) o prove in classe assegnate in modo quanto meno roccambolesco.
      L’attenzione e la partecipazione dei ragazzi si ottiene attraverso l’utilizzo della giusta modalità di comunicazione durante le lezioni, attraverso la richiesta continua di interazione da parte loro e attraverso la giusta scansione di tempi e contenuti.
    5. Il numero di lezioni e la modalità di gestione degli orari deve essere la medesima della scuola in presenza, il tempo per le maggiori pause tra una lezione e l’altra si recupera evitando tempi inutili come quelli al punto 3 e estrapolando il tempo per le verifiche dal tempo dedicato alle lezioni.
Da ultimo, per concludere questo che è nato come post e mi rendo conto essere diventato un trattato, vorrei sottolineare un aspetto importantissimo: ho lavorato da sola, da casa e tramite internet per quasi 20 anni, gestendo reti di collaboratori, clienti e fornitori tramite la rete e viaggiando. Chiunque ha un’esperienza di questo tipo, sa che gestirsi la propria attenzione, il proprio tempo e le proprie attività in questo tipo di contesto è difficilissimo per un professionista adulto. Oggi stiamo chiedendo di farlo a dei bambini e dei ragazzi.
Cosa che io ritengo utilissima! perché è questo che per lo più si troveranno a fare nei prossimi anni. Ma che è qualcosa che va imparato. La mia sensazione è invece che anziché sfruttare questa situazione per aiutarli a maturare e imparare ad imparare e a gestirsi in modo autonomo, con un’organizzazione chiara, semplice e coerente li si stia colpevolizzando e ostacolando, riversando su di loro le inefficienze di adulti che hanno più difficoltà di loro a ripensare i propri modi e i propri tempi per affrontare questo contesto di emergenza.
Con tutte le conseguenze catastrofiche che leggiamo negli articoli allarmistici che raccontano le conseguenze della DAD: ricaduta sulle famiglie, e in particolare le madri, scarsa formazione dei ragazzi, isolamento, frustrazione culturale e sociale. E aggiungerei un’enorme gap di status sociale: chi avrà la fortuna di vivere in famiglie dove la disponibilità economica e il livello culturale e di alfabetizzazione informatica è buono, riuscirà a compensare le mancanze, tutti gli altri rimarranno – loro malgrado – indietro.
Ecco. Tutto questo non è colpa della DAD. Tutto questo con una didattica a distanza fatta con un po’ più di criterio, potrebbe essere evitato grazie alla DAD.