Essilux e l’OPA su Grandvision: cronaca di un’evoluzione annunciata

Il 16 gennaio 2017, il giorno dopo aver letto la notizia della imminente fusione tra Essilor e Luxottica, scrissi un articolo che analizzava la cosa e provava a darne un’interpretazione a caldo, cercando di capire cosa sarebbe potuto succedere in termini di mercato.

Occupandomi strettamente di retail e in particolare di retail ottico, la cosa che più mi impressionava dell’operazione era proprio la struttura trasversale di filiera che si veniva a creare: il primo produttore di lenti oftalmiche, il primo produttore di montature uniti portandosi in dote la più grande concentrazione di negozi di ottica di proprietà in tutto il mondo. D’un tratto si andava a creare un’industria di dimensioni incredibili che aveva a disposizione anche il canale distributivo al cliente finale del suo stesso prodotto.

Tenendo separata la produzione dalla distribuzione commerciale al dettaglio, infatti, il retailer rimane un anello molto forte della catena del valore, perché detiene il primato sulla relazione personale con il cliente.

Con l’acquisizione del controllo di una porzione predominante del mercato della distribuzione finale, invece, Essilux può usufruire di un moltiplicatore della propria potenza, che rende ancora più fruttuosa la concentrazione industriale. E non parlo solo in termini di posizioni di mercato e di potenza economica, parlo della potenzialità per guidare e modificare il paradigma di percezione del prodotto occhiale da parte del pubblico.

A distanza di due anni, mentre le due anime del supergigante iniziano ad appianare le prevedibili schermaglie interne di assestamento, arriva la notizia della probabile acquisizione dei 7.000 punti vendita GrandVision da parte di EssiLux. Un’OPA accolta con entusiasmo dai mercati finanziari e con ovvio disdegno dal mondo degli ottici.

La fine dell’ottico indipendente?

Il quadro appare chiaro e ben delineato: una politica di occupazione verticale e orizzontale della filiera volta a controllare ogni aspetto.

Ho aspettato qualche giorno prima di scrivere questo pezzo, perché volevo farlo dopo aver silenziosamente raccolto qualche reazione da parte degli operatori. Reazioni che sono giunte puntuali e prevedibili: gli ottici che si dicono “e ancora pensate di comprare da Luxottica?” fanno eco a coloro che dichiarano che il mercato dell’ottica indipendente è finito e tanto vale tirare giù la saracinesca. Insomma, la musica che sento suonare sempre uguale da quando, poco più di 20 anni fa, ho iniziato a occuparmi di occhialeria.

E ancora una volta mi trovo a suggerire: sicuri che sia questa la giusta risposta?

È indubbio che una situazione come quella attuale non si era mai presentata, in un momento in cui peraltro le forze di cambiamento in gioco non riguardano solo gli assetti industriali ma anche le dinamiche sociologiche e culturali fortemente condizionate dal digitale e dall’incertezza politica.

È altrettanto vero, però, che continuare a ragionare in termini di reazione e non di azione non porti da nessuna parte, se non a un’involuzione ulteriore della situazione.

Sono i termini che vanno cambiati, i paradigmi – e utilizzo ancora questa parola non a caso – della distribuzione.

  • Non è finito l’ottico indipendente, è finito l’ottico che ignora i principali principi di gestione di impresa e di marketing e guadagna sulla scorta di una condizione di marginalità elevata e supporto costante da parte dell’industria o di altre organizzazioni.
  • Non è finito l’ottico indipendente, è finito l’ottico che quando gli suggerisci di ragionare sul proprio assortimento in termini di ricerca e studio risponde “ma ci vuole troppo tempo!.
  • Non è finito l’ottico indipendente, è finito l’ottico che non informatizza per poter continuare a fare un po’ di nero o perché inserire i dati è scocciante.
  • Non è finito l’ottico indipendente, è finito l’ottico che non investe (in promozione, in marketing, in formazione, in branding, in comunicazione, in relazione, in gestione del personale) e pensa che fare marketing sia rigirare sul cliente finale campagne e proposte promozionali che gli arrivano pronte dall’industria andando a trasferire la propria autorevolezza proprio su coloro da cui dichiara di non voler essere controllato.

C’è ancora spazio per un imprenditore professionista e indipendente nel mercato dell’ottica, purchè sia disposto a faticare per costruirsi un posizionamento di mercato unico e a non a cedere la propria sovranità in cambio di soluzioni facili nella gestione, nella comunicazione, nel marketing.

L’incessante corsa al controllo dei punti vendita da parte di tutti i colossi deve confortarci sul fatto che il negozio fisico rimane e rimarrà sempre la chiave di volta nel controllo del mercato finale e, fortunatamente, il retail tradizionale è quello che ha più esperienza e più radicamento per poter gestire al meglio questo aspetto strategico, a parte che sia in grado di raccogliere la sfida dell’integrazione digitale.

“Quindi? Alessandra stai dicendo che dobbiamo diventare tutti ottici di nicchia?”

Se per ottici di nicchia si intende la tendenza ad aprire centri ottici incentrati esclusivamente su collezioni di design più o meno estremi, con atmosfere rarefatte e altrettanto rarefatti scontrini a 4 cifre…
No: non è questo che sto dicendo.

Questo genere di nicchia, legato fortemente al design di ricerca, è interessante ed attraente ma è (e deve rimanere per sua stessa natura) iperselettivo sia per i clienti ma anche – e soprattutto – per gli imprenditori.

Ciò che sto suggerendo è che l’ottico indipendente vada nella direzione della nicchia definita come nel marketing classico, ovvero un segmento specifico di consumo, che risponde a un’esigenza non ancora soddisfatta dall’offerta esistente.

Facendo un passo avanti, mi piace dire che oggi la soluzione sia diventare centri ottici carismatici: avere un’identità precisa, definire in modo efficace il tipo di proposta di mercato, curare in modo maniacale la relazione con il cliente finale, offrire un’esperienza d’acquisto coinvolgente ed emozionante non solo sul punto vendita ma attraverso tutta la customer journey, digitale e fisica.

La sfida dei piccoli produttori

In questo contesto così fluido, si apre una sfida e un’opportunità anche per tutti i millemila piccoli produttori di occhiali che si approcciano al mercato con linee indipendenti o “alternative”. Un esercito composto designer visionari, artigiani, innovatori tecnologici, sperimentatori, uomini di business di altri mercati, importatori di articoli più o meno presentabili da altri mercati.

Un comparto che opera (nel bene e nel male) agli antipodi del gigante, in cui troppo spesso ancora si abbinano a ottime idee a superficialità imprenditoriale o, al contrario, aggressività commerciale a scarsa competenza di prodotto… in entrambi i casi con una endemica poca conoscenza delle specificità del mercato finale.

Qui la difficoltà più grossa è trovare vie non convenzionali per far incontrare la domanda e l’offerta ma è da qui che i nostri futuri ottici carismatici devono attingere per costruire le proprie unicità.

In conclusione: la strada c’è, ma è in salita

Si va configurando un mercato in cui il segmento medio e commerciale sarà gestito dalle major che tenderanno a far diventare l’occhiale sempre più un prodotto di consumo e a slegarlo dalle dinamiche professionali di personalizzazione: questo renderà “inutile” tutto il retail indifferenziato e debole che non apporta valore specifico al percorso del cliente. Nel contempo si creerà uno spazio per chi saprà porsi in modo differente (davvero, non solo a parole) e sfruttare il valore aggiunto della relazione personale. Per questo che insisto sul concetto di carisma, e sulla competenza: giocando tra cultura, capacità relazionale, optometria, conoscenza tecnica del prodotto, capacità di selezionare prodotti originali che si distinguano e si adattino a specifiche esigenze di look e d’uso delle proprie “nicchie”.

Una strada che potranno percorrere solo i campioni e che dovrà inevitabilmente vedere una sinergia di filiera tra retail indipendente e piccola industria.

Alessandra Salimbene
Digital & Retail Marketing Consultant