Ovvero: siamo proprio sicuri che il problema sia nella conoscenza delle nuove tecnologie?
Ieri ho partecipato a un interessante workshop organizzato da Quadrifor, a Roma, dal titolo
Manager 2.0
I social network per lo sviluppo d’impresa
i temi trattati sono stati vari, ragionando intorno all’utilizzo dei social media per la comunicazione d’impresa, il recruitment e, di fatto, il personal branding del personale direzionale.
Convinzione condivisa da tutti i relatori, e anche da chi scrive, è che l’Italia imprenditoriale e istituzionale soffra di un’arretratezza a dir poco endemica in fatto di comunicazione e marketing, che non vi sia cultura della formazione continua neanche tra professionisti e quadri, che questi due dati siano piuttosto collegati tra di loro e che tutto ciò possa essere una delle cause della situazione economica congiunturale e, soprattutto, della difficoltà che abbiamo a uscirne.
Il quadro non è dei più esaltanti, ma chiunque abbia a che fare con imprenditori e manager nel nostro paese, vive questa realtà quotidianamente.
Il Dott.Amicucci, della Amicucci Formazione, ha posto l’accento sulle competenze digitali del manager stigmatizzando come oggi, per la prima volta nella storia, le persone che hanno il controllo del potere organizzativo non hanno la competenza (digitale, quella che serve) e le persone che hanno la competenza non hanno alcun potere organizzativo (i cosiddetti nativi digitali, che si affacciano ora sul mercato del lavoro). Indicando come il “mentoring” possa essere una strada efficace nel superare questa empasse.
Nell’interessantissima presentazione fatta dall’Ing. Meo di Groupon veniva citata una ricerca condotta dalla Doxa su un campione di 1.000 PMI italiane nell’ambito del benessere personale, del food e del travel. Da questa indagine risulta (cito a memoria) che circa il 24% delle aziende intervistate non porta avanti alcuna attività di marketing e che solo il 54% svolge attività di marketing digitale, intendendo come tale anche soltanto l’utilizzo di una pagina Facebook.
Pur non stupita da questi dati, è nata in cuor mio una riflessione che voglio condividere con voi e il titolo, provocatorio, di questo post.
Siamo sicuri che ci stiamo concentrando sul vero problema?
Se gli imprenditori non ritengono che fare marketing sia fondamentale per la propria impresa (e poi si lamentano della crisi) è un problema culturale. Se i manager non ritengono che sia fondamentale la formazione continua per star dietro a un mondo che avanza a una velocità strabiliante, è un problema culturale. Se l’Italia rimane il fanalino di coda nello sfruttamento dei nuovi canali commerciali e di sviluppo forniti, per l’appunto, dal digitale è ancora un problema culturale.
Con il rischio di essere un po’ fuori dal coro, io penso che il problema non sia nella differenza “pratica” di utilizzo dei media digitali tra nativi e non nativi digitali.
Mia nonna, ex maestra d’asilo in pensione, quasi ottantenne, ha imparato a usare Facebook per poter vedere le foto dei suoi figli, nipoti e pronipoti sparsi in tutta Italia. E ha imparato da sola, su un computer di terza mano che le ho passato io. Non voglio pensare ne’ credere che il problema di un manager o di un imprenditore sia imparare a usare lo smartphone o il PC: è un po’ come imparare a sciare, se lo fai da grande fai un po’ più di fatica, ma con un po’ di impegno non farai i mondiali ma qualche discesa rossa sì.
E, nello stesso tempo, non credo che la soluzione di tutti i mali stia nei “nativi digitali” che magari hanno più familiarità con l’utilizzo dei mezzi, ma che spesso e volentieri soffrono di carenze formative enormi in fatto di gestione del tempo, motivazione, capacità di esposizione, senso critico, cultura in genere (cultura, ancora cultura).
Concentrati nella risoluzione del problema dello strumento digitale, puntiamo al dito anziché alla luna. Confondiamo, ancora una volta, il mezzo con il fine. Se non risolviamo il problema culturale, che sta a monte di tutto e che comprende le famose cinque chiavi per il futuro di Gardner citate dal Dott. Amicucci, passeremo da una classe dirigenziale e imprenditoriale di “ignoranti analogici” a una classe dirigenziale e imprenditoriale di “ignoranti digitali”, ma non avremo superato il problema di base della crescita, l’energia vera che serve al nostro paese.
La visione, la cultura, la strategia, la capacità organizzativa vera. E magari un pizzico di voglia di sognare più alto.
Sarò troppo pessimista? Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alessandra Salimbene
PS: per chi se lo stesse chiedendo e non avesse voglia di leggere il libro, le Cinque chiavi per il futuro di Gardner sono le 5 competenze cognitive che lo studioso identifica come fondamentali per il successo nel mondo di oggi. Egli parla di mente “disciplinare”, “sintetica”, “creativa”, “rispettosa” ed “etica”. La mente disciplinare si avvale di una modalità di pensiero orientato alla conoscenza in un ambito particolare, che sarà quello dove può raggiungere l’eccellenza. Occorrono in media dieci anni per padroneggiare completamente una disciplina, di modo che, ad esempio, uno psicologo arrivi infine a “pensare” come uno psicologo, un matematico sia portato ad interpretare la realtà in termini di modelli e teorie o un giornalista valuti quasi automaticamente l’importanza di fatti e notizie. L’intelligenza sintetica è in grado di filtrare rapidamente le informazioni provenienti da diversi fonti e di rielaborarle in maniera originale. Sostenendosi alla disciplina e alla sintesi, la mente creativa esplora territori sconosciuti approdando a soluzioni innovative. Sostanzialmente inventa nuovi modi di pensare. Gli altri due approcci, la mente rispettosa e quella etica, sono indubbiamente in rapporto tra loro e si avventurano nel campo delle relazioni umane. L’intelligenza rispettosa è il modo di pensare di chi accoglie le diversità che esistono tra i singoli e tra le comunità umane, senza tentare di annullarle attraverso l’amore o l’odio. “Non possiamo più semplicemente tirare una tenda o costruire un muro per isolare permanentemente i gruppi l’uno dall’altro. L’homo sapiens dovrà in qualche modo imparare ad abitare i suoi paraggi – e il pianeta tutto – senza odio per i suoi simili, senza brama di ferirsi o uccidersi l’un l’altro, senza agire sulla base di tendenze xenofobe anche se il proprio gruppo potrebbe, a breve termine, risultare vincente” – scrive Gardner. E’ molto di più che semplice tolleranza. L’intelligenza etica si sposta ad un livello più astratto, rappresenta l’elemento chiave di chi si interroga sulla natura dell’operare del singolo e sui bisogni e le aspirazioni della società, in altre parole, caratterizza l’individuo che comprende qual è la natura della sua relazione con il mondo e costruisce le sue azioni a partire da questa consapevolezza.
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