Perchè non mi piace l’ironia su #petaloso

Alcuni giorni fa è diventato virale il post di una maestra di scuola elementare che ha gestito in maniera “creativa” un errore del piccolo Matteo in un compito in classe. In pratica, all’interno di un compito sugli aggettivi derivati da sostantivi Matteo ha inserito il termine “petaloso” nella frase “il fiore è petaloso”. La maestra ha segnalato l’errore definendolo “bello” e ha inviato all’Accademia della Crusca una richiesta di consulenza linguistica sul possibile utilizzo del neologismo. Dall’Accademia della Crusca la risposta non si è fatta attendere. In una puntuale analisi si dice, in sostanza: il vocabolo è ben formato secondo le regole della lingua italiana, quindi, caro Matteo, è possibile anche che venga inserito nel vocabolario se un elevato numero di persone lo inizierà ad utilizzare.
Il post della maestra è divenuto virale e la rete si è scatenata sull’hashtag #petaloso.

Moltissimi commenti positivi, quasi tutti i social media manager alla ricerca di frasi petalose da postare sulle pagine dei propri clienti per sfruttare il trend.
Come sempre accade, anche moltissimi schieramenti opposti che si dividono all’incirca tra “non sarebbe meglio che la maestra si preoccupasse dei congiuntivi” e “allora adesso anche se potrei entrerà in vocabolario perché è di uso comune”.

Dopo le prime interpretazioni scherzose (di cui citerei quella di The Jackal, con la finta lettera indirizzata ad Antonio Banderas e al suo ‘inzupposo’) ho iniziato a essere disturbata da questi post più o meno ironici.

A mio parere, l’azione di questa maestra e successivamente la serietà con cui l’Accademia si sia preoccupata di rispondere con tanta cura a un bambino di soli 8 anni, sono una combinazione di eventi estremamente positiva.
La maestra ha fatto un grande regalo a questo Matteo: gli ha insegnato che la creatività, se ben gestita può essere – per l’appunto – creazione, che dagli errori possono nascere cose nuove. Gli ha insegnato questo concetto meraviglioso di “un errore bello”. L’Accademia della Crusca ha testimoniato come un’ente accademico di altissimo livello possa dialogare in modo semplice e comprensibile anche con un bambino, nell’esplicare nel modo più completo e puro possibile la propria missione di salvaguardia della Lingua Italiana.

A chi invece su questo ha fatto ironia, ho commentato (fino a che ne ho avuto le forze, dopo ho deciso di scrivere questo pezzo)  che leggendo con attenzione l’analisi della Crusca, quel che si evince è proprio contrario al pensiero che ora basterà che un termine sia di uso comune perché venga accettato.
Prima viene effettuata un’analisi formale del termine: è una parola “ben formata”. Poi viene detto che potrebbe diventare parola vera della nostra lingua, se entrasse nell’uso comune.

Entrambi gli aspetti sono assolutamente indispensabili. Chiunque abbia studiato un po’ di linguistica dovrebbe avere familiarità con la grammatica generativa di Chomsky e dovrebbe sapere che, proprio in virtù di una serie di regole universali, si può imparare a comporre termini “ben formati” di una qualunque lingua – anche inventata – applicando delle regole fondamentali. Chiunque abbia visto crescere un bambino nella fase di acquisizione del linguaggio può comprendere facilmente come queste regole universali siano innate e come noi impariamo a parlare proprio in virtù del fatto che ci sono questi meccanismi che, per tentativi, applichiamo e questo ci consente di formarci un vocabolario. Diversamente imparare a parlare significherebbe imparare a memoria migliaia di vocaboli e declinazioni e richiedere molti più anni.

Il meccanismo suggerito dalla Crusca, quindi, è il processo tramite il quale non solo la nostra lingua si evolve, ma tramite il quale la nostra lingua esiste. Così come tutte le altre.

Tutto giusto, mi dirai, però l’ironia è ironia, perché te la prendi tanto?
E qui arriva il punto: l’ironia è ironia, ed è una forma valida di trasmettere contenuti, ma bisogna fare anche un po’ di attenzione. Quando si comunica, soprattutto sui social media e soprattutto se si ha un certo seguito, c’è una responsabilità che non va dimenticata.

Questo genere di ironia è a mio parere sbagliato perché non tiene conto delle abitudini (sbagliate) della maggior parte delle persone: ovvero non approfondire e non leggere tutto prima di giudicare. Quello che capita è, essenzialmente, che si legge il titolo, se va bene qualche commento e il messaggio che passa è “guarda un po’, già non si usano più i congiuntivi, ora ci inventiamo le parole come capita”. E poi: ecco la maestra invece di correggere il bimbo e “fare il suo lavoro” gioca a inventare le parole.

Nessuno sottolinea il processo completo che vi ho citato prima.

E così l’ironia su #petaloso equivale ai post che hanno prolificato in questo periodo che hanno convinto l’opinione pubblica che la legge sulle unioni civili avrebbe permesso ai gay di adottare, o addirittura di adottare più facilmente delle coppie etero.

Il meccanismo è identico: titolo ad effetto con link a un articolo che nessuno leggerà e che spiega che le cose sono diverse e un coro di indignati perbenisti e superficiali si leva a “difesa” di questi poveri bambini. Dimenticando che nella maggior parte dei casi (peraltro statisticamente molto contenuti) le opportunità dell’adozione del compagno del partner è una tutela per i bambini stessi.

Una “certa” comunicazione, introdotta nella politica, supportata dalla TV e adottata dalla totalità della nostra intellettualmente povera classe dirigente ha trasmesso il messaggio che si può ironizzare su tutto, scherzare su ogni cosa, prendere in giro qualsiasi idea o persona, in qualunque contesto (chi può dimenticare le corna di Berlusconi alla Merkel durante la foto di gruppo di un summit internazionale di capi di stato?).

E così non rimane più niente di importante, niente di sacro, niente di serio.

C’è un gioco psicologico, che si utilizza per superare la soggezione di determinate persone o contesti, che dice: “Se qualcuno ti fa paura o ti mette in soggezione, prova a immaginarlo seduto sul water. Questo ti consentirà di ridimensionarlo e di comprendere che è un essere umano come tutti, con tutte le sue funzioni corporali”.

L’escamotage è molto efficace per superare il timore del professore, ad esempio, ma se viene applicato in massa su tutto, quel ne consegue è che l’idea stessa di autorevolezza e valore si perdono, e che tutti diventano uguali.
Non conta più chi sei o cosa fai o cosa dici.
Grandi e piccoli diventano uguali dietro alla finta democrazia della battuta.